sabato 13 luglio 2013

MARY WIGMAN di Giovanni Gentile



In un' intervista radiofonica qualche tempo fa mi chiesero come mai la Germania degli anni '30 e '40 attiri così tanto la mia attenzione e i miei studi correlati, tanto addirittura da tentare di organizzare una rassegna teatrale e di danza relativa a quegli anni dal titolo Degenerate Art. E come mai io mi interessi così tanto, per quanto riguarda le mie ricerche e i miei studi sulla danza, ad artisti che sembrano venire da un' altra era geologica. Scrivo qui quello che dissi al giornalista durante l'intervista. Semplicemente perchè non si può capire cosa sta avvenendo oggi in Europa (e in misura minore negli Stati Uniti, dove hanno avuto un'altra storia e un altro approccio) nel mondo della danza contemporanea e moderna, se non riusciamo a ricollegare i fili e le connessioni con quel passato. Quello che questi artisti hanno detto o hanno tentato di fare in quegli anni altro non è che quello che, dopo decenni di soporifere e nefaste chiusure al mondo e alle altre arti che la danza ha subìto da parte di coreografi e maestri arroganti e chiusi nel loro mondo inutile, ha provato a sperimentare Pina Bausch prima e poi tutta la nuova generazione di coreografi e registi di danza illuminati. Cioè semplicemente "aprirsi al mondo", alle sinergie e alle collaborazioni ma soprattutto alle emozioni. La danza contemporanea europea (in Italia come al solito siamo in ritardo perenne e decennale) nell'ultimo decennio sta finalmente uscendo dal guscio nel quale l'avevano e si era rinchiusa. Finalmente il danzatore inizia a non essere più un esecutore piatto di movimenti tecnicamente perfetti, ma un attore (colui che agisce) che comunica tensioni ed emozioni, arrivando a colpire  almeno 4 dei cinque sensi di cui è dotato anche lo spettatore più distratto. ( Mi sto attirando in questo momento le ira funeste di migliaia di ballerini e di coreografi, ma ne sono orgoglioso). Come dico sempre io, e se siamo arrivati all'autocitazione vuol dire che inizio ad essere messo male,  la danza è l'arte più multisensoriale che esista.
In questo blog abbiamo iniziato  da Kurt Jooss, perchè personalmente penso che il suo "Il Tavolo Verde" sia assolutamente un capolavoro senza tempo. Oggi puntiamo lo zoom su Mary Wigman.

MARY WIGMAN

Mary Wigman in "Danza delle streghe"


Nasce ad Hannover nel 1886. A 26 anni, dopo quasi due decenni di studi accademici incrocia la sua strada con Laban, maestro e collaboratore anche di Jooss, e abbraccia in toto la filosofia di Laban e il suo approccio con la danza. Un approccio mistico e la ricerca di una spiritualità che fosse anche irruente, corporea, materiale. A Monaco, in quegli anni, Mary frequenta i maggiori esponenti dell'espressionismo pittorico tedesco, e da questi incontri e amicizie la sua danza rimarrà segnata fino alla sua morte nel 1973.
Il più celebre spettacolo di quegli anni fu, senza ombra di dubbio, la seconda parte de "La danza della strega" (Hexentanz II) interamente realizzato a terra. Movimenti bruschi, caricati di una gestualità interrotta, spezzata, simbolismi drammatici. La Wigman si interessa di mitologia extra europea, di danza tribale africana e di maschere ancestrali. Ricerca una danza assoluta, corale, un linguaggio universale e primordiale dove si supera l'io imperante della danza classica accademica e dei danzatori classici. Decisiva la scelta di accompagnare le sue coreografie solo con strumenti a percussione per svariati anni. Non tutti sanno che la Wigman è colei che ha ispirato in seguito tutto il lavoro di creazione del metodo Graham (la Graham assistette ad uno spettacolo della Wigman nel 1957 a Berlino restandone folgorata). Da un punto di vista tecnico il lavoro del performer si concentra sul metodo respiratorio anspannung (tensione) e abspannung (distensione). Attraverso questa tecnica respiratoria l'energia vitale del ballerino si propaga nei muscoli attraverso il corpo muovendo le articolazioni. Lo stile o la tecnica Wigman si diffuse rapidamente anche oltre oceano influenzando notevolmente anche il percorso di ricerca di Alwin Nikolais. Nel Luglio del 1933 (!!!!) in un articolo intitolato "Il danzatore e il teatro" scrive tra le altre cose: 


- Sarebbe spiacevole se il teatro non traesse vantaggio dalle energie messe a disposizione dai giovani danzatori. Sarebbe spiacevole sia per il teatro che per la danza. Il giovane materiale danzante non solo potrebbe contribuire all'arricchimento delle possibilità creative del teatro, ma potrebbe mettere tutte le sue energie al servizio della totalità dell'opera. 

- Il corpo ha molto più significato per un giovane danzatore di oggi di quanto non ne avesse per tutte le generazioni passate. Egli considera il suo corpo come esistenza fisica e lo vive in tutte le sue espressioni ritmicamente determinate. Questa generazione, dunque, capisce immediatamente e senza traduzioni intellettuali anche la danza che è uscita dalla sua epoca e il danzatore che parla questo linguaggio.

- Il concetto di corale ha per noi un nuovo e più profondo significato. E questo è l'ambito in cui le opere si sviluppano a partire dai concetti di movimento e di coro parlato, per il quale il giovane danzatore dispone dei requisiti essenziali. Il contributo vitale che egli ha da dare a questo compito grandioso ed impegnativo, consiste nella sua capacità espressiva e nella sua disponibilità ad integrarsi. La nostra fede nel teatro è imperturbabile. Il futuro deciderà se il nostro desiderio e la nostra volontà sono in grado di riportare il destino dell'uomo ad un teatro che le generazioni successive possano risentire e rivivere come "culturale" in un nuovo significato.

Chiudo questo post su Mary Wigman con una profonda tristezza nel cuore. Si è perso quasi un secolo. La danza, a parte casi, come dicevo all'inizio del post, di coreografi illuminati, si è sempre più andata arroccando in una inutile torre d'avorio. "Ballo per i ballerini" invece di "Ballo per te sconosciuto amico mio" è diventata la parola d'ordine degli ultimi decenni soprattutto in Italia. Il muro tra la danza e il pubblico è diventato sempre più alto e sempre più spesso e il fossato che separa il teatro dalla danza (attenzione, non parlo di teatro-danza) è diventato sempre più profondo. La danza, così come il teatro, ha bisogno di una profonda rivoluzione culturale, che parta proprio dalle piccole scuole, dagli insegnanti che nessuno loderà mai o riconoscerà mai sui giornali, ma chiedere loro questo forse  è chiedere troppo. 

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